Tradizioni popolari

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Descrizione

La vecchia Berta
La tradizione dice che, mentre il Torricelli dipingeva la volta del coro della chiesa parrocchiale, una donna, la “vecchia Berta” (forse una Uberti di Bagnolo) si recava ogni giorno in chiesa per seguire il lavoro dell’artista.
Con pazienza, mentre filava la lana, la donna osservava e ammirava lo stendersi dei colori, il profilarsi dei soldati e dei lapidatori, il divenire delle mura di Gerusalemme. Al pittore venne in mente di fissare nel dipinto il ritratto della filatrice e la collocò tra S. Stefano e i suoi carnefici. L’affresco però ci mostra l’immagine di un volto giovanile: forse Berta è invecchiata dopo, insieme al dipinto, garantendo così la bontà della tradizione.
 
Rane, gamberi e…scorpioni
Buona parte del territorio di Bagnolo fu, nel passato, occupata da acquitrini e «morte» specie nelle località del Moso e delle Lame, rispettivamente a nord e a sud dell’abitato. Questa condizione idrografica rappresentò una fonte economica non indifferente per la popolazione. Presso i bagnolesi era infatti diffusa l’arte di «acchiapparane» e «gamberaio» tanto di meritare gli appellativi di «ranér» e «gambér». Rane e gamberi erano presenti in abbondanza e, ancora negli anni Cinquanta, rappresentavano la garanzia di un pasto sicuro. Nacque così il detto «Gamber da Bagnol» che le comunità confinanti caricarono spesso di significato negativo. Lo testimoniano le antiche beghe campanilistiche, in particolare quella tra i giovani bagnolesi e i vaianesi, talvolta degenerate in fitte sassaiole. Al contrario la gente di Bagnolo fu sempre fiera del proprio appellativo, tanto da identificare in un gambero la figura dipinta nella «Lapidazione di S. Stefano» eseguita dal Torricelli sulla volta della chiesa parrocchiale. In realtà l’interpretazione popolare ha osato troppo, poiché il gambero dell’affresco altro non è che uno scorpione che nella simbologia religiosa rappresenta, con la sua insidiosa e mortale puntura, la cattiveria e la perfidia giudaica.
 
«Tacà lite per al Mos da Bagnol»
Il 20/06/1628 con una sentenza pronunciata dai provveditori veneti sopra i beni commerciali, si concludeva una secolare lite tra i comuni di Bagnolo e Trescore circa la proprietà di ben 3.000 pertiche di terreno denominate «Li Mosi». La contesa, che aveva fatto registrare accanite e violente ostilità tra i due comuni, fu così importante da essere ricordata con un proverbio. «Tacà lite per al Mos da Bagnol» sta per contendere, cavillare, con lo scopo di estorcere ad altri ciò che implicitamente viene come d’altri riconosciuto.
La sentenza infatti finì con l’assegnare a Bagnolo quel territorio che la tradizione orale aveva sempre chiamato «Moso di Bagnolo», fissando come confine tra i due territori la roggia Naviglio.

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Pagina aggiornata il 21/03/2024